Ci sono tempi in cui è urgente liberare le pulsioni a lungo trattenute in solitudine e attesa.
Questi lavori silenziosi e lenti a poco a poco hanno preso vita, forma, senso; i segni, le linee che aggrediscono il colore, l’immagine, diventano i vettori verso uno spazio nuovo, incontaminato, pronto ad accoglierci se solo ne sentiremo il respiro.
Giorgio Occoffer
L’esposizione è dedicata alla memoria dell’amico fraterno Antonio Tozzi
Un senso di disorientamento accompagna il racconto grafico di queste tavole – diario e breviario domestico – alla loro lenta parabola e approdo nella risacca del colore che, a sua volta, rimanda linee spezzate e archi sottesi a cercare luce e rifugio nella penombra del bianco e nero. In questa mobilità e competizione di segni si compie il prodigio ottico della loro simbiosi e si annodano per vie liquide e sotterranee emozioni e maree.
L’acqua che signoreggia in questi acquerelli guida e accoglie nel grembo dei fogli gli umori del tempo, i liquidi colori di immaginari vulcani e profondità marine mentre il contrasto tra bianco e nero delle tavole a china conserva tutto il fascino del mistero di ciò che rimane dell’immagine e ci propone, ogni volta, l’essenzialità nascosta della nostra struttura e solitudine.
Risplende così, sotto riverberi e lampi, la fragile membrana dell’essenza.
Non per caso l’arco spazio/tempo si dispiega su queste dodici tavole e un orologio interno ne scandisce pulsioni ed emozioni lungo una giornata immaginaria, giornata che somma natura e accadimenti, moti e umori, slanci e sconfitte, una giornata piena che alfine la notte accoglie con i nostri sogni. È una piccola vita racchiusa nel suo bozzolo con queste tavole ad interrogarmi, ad interrogarci sulla loro capacità di mostrare immagini dove l’aspetto visivo, retinico, dà ampio spazio al mistero, all’ignoto, alla scoperta del nostro mondo insondato e onirico.
Continua nel recente ciclo di “carte digitali” la ricerca che Giorgio Occoffer sta conducendo in questi anni di esplorazione segnico-cromatica intorno al valore fantasmatico dell’immagine, campo di stratigrafiche immersioni nella memoria attiva del vissuto.
Le fonti della visione sono sempre riconducibili alle citazioni figurali che l’artista seleziona dall’ampio repertorio di immagini prese a prestito da diversi contesti della comunicazione: luoghi, situazioni e personaggi affiorano come reperti immaginativi che nutrono le molteplici fantasie della pittura.
Il procedimento di elaborazione dell’immagine si avvale di una stampa fotografica (rotocalco, manifesto, foto autografa) predisposta ad accogliere interventi grafici che costituiscono lo stile di Occoffer, lo spazio d’azione delle sue originali permutazioni visive.
L’icona computerizzata è la base preliminare su cui l’artista interviene per modificare l’aspetto meccanico dell’immagine digitale attraverso la sensibilità dell’atto manuale, irrinunciabile dimensione che genera un’avvolgente sedimentazione di umori cromatici.
Le forme originarie sono trasfigurate con ampie velature di colore, lievi vibrazioni segniche, trasmutazioni luminose capaci di alterare la percezione dell’immagine suscitando nuovi affioramenti del visibile.
Con l’uso di pastelli a olio Occoffer entra in sintonia con una diversa identità delle forme, esse emanano risonanze e ambivalenze che giocano sul confine tra la riconoscibilità e occultamento.
Velare alcune parti dell’originaria struttura iconica significa infatti rivelare altre sembianze attraverso passaggi sorprendenti tra il dentro e il fuori, vuol dire indagare il fluire del colore attraverso un processo di decodificazione che corrisponde al divenire del suo volto apparente.
L’intenzione di Occoffer è di dialogare con la sfera del possibile, cercando congiunzioni di forme diverse, slittamenti tra differenti livelli strutturali, orientamenti e depistamenti che non seguono un racconto logico, piuttosto captano il senso del suo imprevedibile fluttuare tra opposte tentazioni, tra riferimenti reali e atmosfere visionarie.
Nel campo visivo di ogni opera entrano situazioni anche casuali, tuttavia sottoposte al controllo dell’atto creativo che tiene in equilibrio il rapporto tra frammento fotografico e intervento cromatico.
Lo sguardo di Occoffer entra nelle latitudini della memoria inventando percorsi immaginativi che si dipanano sulla soglia del futuro, in tal senso mescola le fonti storiche ai flussi del presente, i ricordi dell’infanzia alle ansie della maturità, polarità dello stesso desiderio di trasfigurare l’orizzonte sospeso dei significati inafferrabili.
Talvolta, l’artista esalta le forme del corpo seguendo impulsi disgreganti, traiettorie trasversali e deviazioni dal canone rappresentativo, in sostanza si confronta con la forma e l’informe, contamina per esempio la figura mitologica del discobolo e la raffronta con l’inquietudine agonistica della vita contemporanea.
In altri casi, Occoffer preferisce cogliere le sintonie tra luoghi lontani nel tempo suggerendo connessioni tra i ricordi racchiusi nel labirinto della mente e gli euforici artifici dei linguaggi attuali.
Il foglio di bordo del viaggio che il padre intraprese verso gli Stati Uniti diventa una mappa immaginaria per avventurarsi oltre le coordinate del tempo, attraverso variazioni cromatiche che suggellano la necessità del continuo movimento, soprattutto il bisogno di rigenerare perdute ebbrezze. I tratteggi del pastello s’insinuano nei dettagli più reconditi dell’immagine digitale stravolgendola con effetti anche surreali, nel senso che il colore rivela mentre copre, suscita immagini che prima non erano presenti, sollecita le ambivalenze dell’inconscio, non a caso le opere dedicate a “Hiroshima” evocano i dolorosi fantasmi della storia come ferite ancora presenti. Lo sguardo macroscopico non perde mai di vista le minime presenze che si annidano nel caos delle apparizioni, del resto tutte le citazioni che Occoffer mette in gioco richiedono fervori cromatici in grado di sorprendere le attese del lettore.
Tra i colori attivi in queste carte sensoriali recitano un ruolo persistente il rosso e il verde, il blu e l’azzurro, il giallo e l’arancio, valenze sempre disposte a contaminarsi con opposte tensioni luminose.
Segni e colori si aggrovigliano, si addensano e si dissolvono nella stessa trama, soprattutto nelle carte più recenti si avverte una maggiore libertà d’azione, le linee sono tracciate da un punto all’altro dello spazio come scariche di luce incontenibile e filante. Così l’immagine scatta oltre sè stessa alludendo sia alla sfera tecnologica sia alla trasfigurazione cosmica, e lo fa alimentando lo stupore dell’osservatore di fronte alle metamorfosi figurali che Occoffer fissa negli umori controversi delle grandi carte presenti in questa esposizione, immagini da leggere come pagine di vita vissuta nel miraggio interminabile della pittura.
Non per caso l’arco spazio/tempo si dispiega su queste dodici tavole e un orologio interno ne scandisce pulsioni ed emozioni lungo una giornata immaginaria, giornata che somma natura e accadimenti, moti e umori, slanci e sconfitte, una giornata piena che al fine la notte accoglie con i nostri sogni. È una piccola vita racchiusa nel suo bozzolo con queste tavole ad interrogarmi, ad interrogarci sulla loro capacità di mostrare immagini dove l’aspetto visivo, retinico, dà ampio spazio al mistero, all’ignoto, alla scoperta del nostro mondo insondato e onirico.
“(…) Alle radici della visione di Occoffer sta la citazione figurale da un lato, e l’impulso gestuale dall’altro, un’armonica dialettica degli opposti che si prolunga nelle stratificazioni dell’immagine come memoria attiva del vissuto, sintesi di luoghi reali e virtuali che scaturiscono dal complesso esperimento delle forme.
(…) Per intervenire sul pre-testo fotografico l’artista si serve di colori per il vetro molto trasparenti, crea zone intermedie affidate a diverse velature, con valenze luminose anche imprevedibili rispetto al progetto iniziale.
Attraverso l’uso di pastelli in bianco e nero Occoffer cerca contrasti e ambivalenze, sviluppa il rapporto tra il dentro e il fuori, stratifica valori prospettici complessi, trasmuta i piani compositivi preliminari per captare le tre dimensioni con soluzioni in grado di superare le due dimensioni della pittura.
(…) L’immaginazione modifica i dati dell’esperienza per captare segreti che stanno oltre il conoscibile, ogni traccia è utile per seguire le contrastanti pulsioni del fare, a volte sono fotografie di fotografie, ritagli di fotografie selezionate, sovrapposte, reinventate per cercare congiunzioni di forme diverse.
(…) Trasformare le dinamiche della forma e del colore è la vera sfida che Occoffer sostiene sottraendosi al dominio pianificato dell’immagine per attivare ricordi eloquenti attraverso l’elaborazione dei nessi con il passato. (…)”
(estratto dalla presentazione alla mostra del 2014 alla Galleria Scoglio di Quarto Milano)
(…) Eccomi di fronte a questi fogli non più bianchi a interrogarmi, a incantarmi, a riflettere. L’impatto è forte, anche se non immediato richiede: slittamenti progressivi, come ogni piacere che si rispetti. Sento la sapienza del tratto, della (s)composizione, dei colori (anzitutto primari). Mi interrogo fin dove la ragione generi bellezza, e quanto il sonno ne minacci l’essenza. Loro, mi dico, sono fatti della stessa sostanza di cui sono fatti i sogni, ma anche gli incubi. Nel dormiveglia percepisco il caldo e il freddo, la Gioia e il dolore, la luce pulsante la muta oscurità. Il reticolo del tratto nero li ancora e li eleva, si torce e si aggroviglia, li scandisce e li sedimenta come ammassi di rocce. Percepisco il ricordo di un percorso, tanto più sensibile perché dentro ognuno di noi (a caso da lascaux e Altamira a Chagall e Schiele e Bacon), patrimonio comune. O forse bisognerebbe dire matrimonio, in nome di una qui reiterata dea madre il cui grembo ci genera e ci accoglie anche nella pittura. Altrettante tracce di un discorso amoroso che si fa materia e vita, animale, vegetale, minerale, un tutt’uno. (…)
(Estratto dalla presentazione alla Personale del 2010 presso Associazione Sassetti Cultura Milano) Lorenzo Pellizzari
“In tempi in cui il peso prevale sul segno, è bello che qualcuno faccia prevalere il segno sulla pesantezza dei tempi.”
Otto celle per otto artisti nella Fortezza Priamàr
“Nelle carte di Giorgio Occoffer qualità, colore e gesto coesistono in una visione stratificata, a partire da una immagine fotografica cui l’artista sovrappone ora un segno grafico, ora una pittura luminosa, in una forte sintonia di elementi sovrapposti che caricano l’immagine di forza ed energia.”
Per questa mostra dedicata alle ricerche di Giorgio Occoffer è stato preso in considerazione il versante delle “carte digitali” con interventi disegnativi e pittorici che costituiscono l’aspetto dominante della sua attuale identità creativa.
Disegni a china, acquerelli, dipinti su tela (situazioni espressive che l’artista continua a frequentare simultaneamente) lasciano il campo all’invenzione delle grandi “carte digitali” in cui convergono – come un sottile esercizio stratigrafico- la qualità del segno e l’evocazione fantasmatica del colore. Alle radici della visione di Occoffer sta la citazione figurale da un lato, e l’impulso gestuale dall’altro, un’armonica dialettica degli opposti che si prolunga nelle stratificazioni dell’immagine come memoria attiva del vissuto, sintesi di luoghi reali e virtuali che scaturiscono dal complesso esperimento delle forme. Rispetto ai disegni su carta e ai dipinti su tela, nelle “carte digitali” il procedimento di costruzione dell’immagine si capovolge, invece di partire dalla superficie vuota l’operazione prende avvio da una stampa fotografica già definita e predisposta ad accogliere successivi interventi manuali, grafici e pittorici. Tuttavia, nell’atto di fotografare in prima persona o di usare reperti fotografici estrapolati da rotocalchi e manifesti, è già presente una scelta creativa su cui Occoffer interviene fin dall’inizio, elaborando dal punto di vista del linguaggio digitale il processo di definizione dell’immagine. Da questa fase preliminare, scatta un successivo intervento con il colore dipinto per garantire la sua molteplice trasformazione, in quanto la citazione iconografica dell’immagine computerizzata è ritenuta troppo meccanica per le finalità creative dell’artista, potrebbe infatti ridursi a un facile gioco combinatorio fine a se stesso. Occoffer desidera procedere sperimentando la continua riscoperta del colore in sé, non si appaga della piacevolezza cromatica esibita dal mezzo informatico, ha piuttosto bisogno di trasformare la rappresentazione strutturale ben oltre l’effetto meccanico del colore digitale. Per intervenire sul pre-testo fotografico l’artista si serve di colori per il vetro molto trasparenti, crea zone intermedie affidate a diverse velature, con valenze luminose anche imprevedibili rispetto al progetto iniziale. Attraverso l’uso di pastelli in bianco e nero Occoffer cerca contrasti e ambivalenze, sviluppa il rapporto tra il dentro e il fuori, stratifica valori prospettici complessi, trasmuta i piani compositivi preliminari per captare le tre dimensioni con soluzioni in grado di superare le due dimensioni della pittura. Il punto di riferimento di ogni ricerca è la dimensione del possibile, il mistero che scaturisce dal viaggio attraverso le apparizioni del mondo sensibile, le inquiete fluttuazioni che spingono lo sguardo a confrontarsi con lo stupore generato dal magmatico fluire dei frammenti visibili e invisibili. L’immaginazione modifica i dati dell’esperienza per captare segreti che stanno oltre il conoscibile, ogni traccia è utile per seguire le contrastanti pulsioni del fare, a volte sono fotografie di fotografie, ritagli di fotografie selezionate, sovrapposte, reinventate per cercare congiunzioni di forme diverse. E’ certo che l’intervento cromatico sull’immagine fotografica offre diversi livelli di mutazione, tutti necessari all’invenzione di nuovi orientamenti, infatti nel corso del lavoro recente si accentua fortemente un clima di destrutturazione dell’immagine affidato a continui depistamenti verso altre dimensioni. La finalità è di stravolgere le icone fotografiche per cercare eventi anche casuali, l’imprevisto suggerisce tentazioni che si determinano nel divenire dell’opera, insorgenze iconiche sempre sottoposte al ritmo interiore e visionario. Pur inseguendo impulsi trasversali e deviazioni strutturali, Occoffer è consapevole che esiste una babele talmente ampia d’immagini che è difficile esprimere qualcosa di nuovo. Tuttavia, è proprio su questa soglia affollata che l’artista coltiva tensioni figurali cercando il punto d’incontro sempre diverso tra fotografia e pittura, salvando sempre l’autonomia del suo essere pittore. Il messaggio intenzionale delle “carte digitali” fa leva su una riflessione immaginativa che vuole entrare nelle cose, captare una trasformazione in atto delle loro possibilità razionali ed emotive, sintonia di forze contrapposte che offre al lettore un campo percettivo di differenti impulsi. Trasformare le dinamiche della forma e del colore è la vera sfida che Occoffer sostiene sottraendosi al dominio pianificato dell’immagine per attivare ricordi eloquenti attraverso l’elaborazione dei nessi con il passato. Le immagini “dietro la stazione” sono legate alle amate memorie sironiane, le forme della “città perduta” evocano i tragici stravolgimenti della guerra, le opere dedicate a “Hiroshima” riconducono la mente ai dolorosi fantasmi dell’infanzia, le citazioni culturali (musica, teatro, fotografia, scultura) sono nutrimenti dell’anima, così come ogni altro reperto figurale è inscindibile dalle trame della memoria e dal fondo indistinto del vissuto. Anche se il discorso sull’arte come memoria può essere una chiave di lettura ampia e sfuggente, nella ricerca di Occoffer essa diventa strumento per vivere il presente elaborando segni reali nel corpo di una dimensione spiazzante. L’idea di “immagine inquieta” significa sospensione ed evocazione di molteplici visioni percepite dai sensi e dilatate dal fluire delle loro vibrazioni mentali: “l’inquietudine, la mobilità, l’ambiguità dell’immagine – ha scritto l’artista- è fatta nostra nell’affascinante divenire della sua casualità” . Le opere di questa mostra rivelano un pensiero totale che Occoffer esprime con la convinzione che solo proiettandosi fuori dai perimetri della coscienza si può recuperare il valore primario del fare arte, rivelazione di un’ebbrezza immaginativa capace di dar forza e durata all’esperimento dell’atto creativo.
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