Per questa mostra dedicata alle ricerche di Giorgio Occoffer è stato preso in considerazione il versante delle “carte digitali” con interventi disegnativi e pittorici che costituiscono l’aspetto dominante della sua attuale identità creativa.
Disegni a china, acquerelli, dipinti su tela (situazioni espressive che l’artista continua a frequentare simultaneamente) lasciano il campo all’invenzione delle grandi “carte digitali” in cui convergono – come un sottile esercizio stratigrafico- la qualità del segno e l’evocazione fantasmatica del colore.
Alle radici della visione di Occoffer sta la citazione figurale da un lato, e l’impulso gestuale dall’altro, un’armonica dialettica degli opposti che si prolunga nelle stratificazioni dell’immagine come memoria attiva del vissuto, sintesi di luoghi reali e virtuali che scaturiscono dal complesso esperimento delle forme.
Rispetto ai disegni su carta e ai dipinti su tela, nelle “carte digitali” il procedimento di costruzione dell’immagine si capovolge, invece di partire dalla superficie vuota l’operazione prende avvio da una stampa fotografica già definita e predisposta ad accogliere successivi interventi manuali, grafici e pittorici.
Tuttavia, nell’atto di fotografare in prima persona o di usare reperti fotografici estrapolati da rotocalchi e manifesti, è già presente una scelta creativa su cui Occoffer interviene fin dall’inizio, elaborando dal punto di vista del linguaggio digitale il processo di definizione dell’immagine.
Da questa fase preliminare, scatta un successivo intervento con il colore dipinto per garantire la sua molteplice trasformazione, in quanto la citazione iconografica dell’immagine computerizzata è ritenuta troppo meccanica per le finalità creative dell’artista, potrebbe infatti ridursi a un facile gioco combinatorio fine a se stesso. Occoffer desidera procedere sperimentando la continua riscoperta del colore in sé, non si appaga della piacevolezza cromatica esibita dal mezzo informatico, ha piuttosto bisogno di trasformare la rappresentazione strutturale ben oltre l’effetto meccanico del colore digitale.
Per intervenire sul pre-testo fotografico l’artista si serve di colori per il vetro molto trasparenti, crea zone intermedie affidate a diverse velature, con valenze luminose anche imprevedibili rispetto al progetto iniziale.
Attraverso l’uso di pastelli in bianco e nero Occoffer cerca contrasti e ambivalenze, sviluppa il rapporto tra il dentro e il fuori, stratifica valori prospettici complessi, trasmuta i piani compositivi preliminari per captare le tre dimensioni con soluzioni in grado di superare le due dimensioni della pittura.
Il punto di riferimento di ogni ricerca è la dimensione del possibile, il mistero che scaturisce dal viaggio attraverso le apparizioni del mondo sensibile, le inquiete fluttuazioni che spingono lo sguardo a confrontarsi con lo stupore generato dal magmatico fluire dei frammenti visibili e invisibili. L’immaginazione modifica i dati dell’esperienza per captare segreti che stanno oltre il conoscibile, ogni traccia è utile per seguire le contrastanti pulsioni del fare, a volte sono fotografie di fotografie, ritagli di fotografie selezionate, sovrapposte, reinventate per cercare congiunzioni di forme diverse.
E’ certo che l’intervento cromatico sull’immagine fotografica offre diversi livelli di mutazione, tutti necessari all’invenzione di nuovi orientamenti, infatti nel corso del lavoro recente si accentua fortemente un clima di destrutturazione dell’immagine affidato a continui depistamenti verso altre dimensioni.
La finalità è di stravolgere le icone fotografiche per cercare eventi anche casuali, l’imprevisto suggerisce tentazioni che si determinano nel divenire dell’opera, insorgenze iconiche sempre sottoposte al ritmo interiore e visionario.
Pur inseguendo impulsi trasversali e deviazioni strutturali, Occoffer è consapevole che esiste una babele talmente ampia d’immagini che è difficile esprimere qualcosa di nuovo. Tuttavia, è proprio su questa soglia affollata che l’artista coltiva tensioni figurali cercando il punto d’incontro sempre diverso tra fotografia e pittura, salvando sempre l’autonomia del suo essere pittore.
Il messaggio intenzionale delle “carte digitali” fa leva su una riflessione immaginativa che vuole entrare nelle cose, captare una trasformazione in atto delle loro possibilità razionali ed emotive, sintonia di forze contrapposte che offre al lettore un campo percettivo di differenti impulsi. Trasformare le dinamiche della forma e del colore è la vera sfida che Occoffer sostiene sottraendosi al dominio pianificato dell’immagine per attivare ricordi eloquenti attraverso l’elaborazione dei nessi con il passato. Le immagini “dietro la stazione” sono legate alle amate memorie sironiane, le forme della “città perduta” evocano i tragici stravolgimenti della guerra, le opere dedicate a “Hiroshima” riconducono la mente ai dolorosi fantasmi dell’infanzia, le citazioni culturali (musica, teatro, fotografia, scultura) sono nutrimenti dell’anima, così come ogni altro reperto figurale è inscindibile dalle trame della memoria e dal fondo indistinto del vissuto.
Anche se il discorso sull’arte come memoria può essere una chiave di lettura ampia e sfuggente, nella ricerca di Occoffer essa diventa strumento per vivere il presente elaborando segni reali nel corpo di una dimensione spiazzante.
L’idea di “immagine inquieta” significa sospensione ed evocazione di molteplici visioni percepite dai sensi e dilatate dal fluire delle loro vibrazioni mentali: “l’inquietudine, la mobilità, l’ambiguità dell’immagine – ha scritto l’artista- è fatta nostra nell’affascinante divenire della sua casualità” .
Le opere di questa mostra rivelano un pensiero totale che Occoffer esprime con la convinzione che solo proiettandosi fuori dai perimetri della coscienza si può recuperare il valore primario del fare arte, rivelazione di un’ebbrezza immaginativa capace di dar forza e durata all’esperimento dell’atto creativo.
Claudio Cerritelli
OPERE ESPOSTE