Chi ha conosciuto e seguito il Giorgio Occoffer di trent’anni fa, quando – giovanissimo pittore di vaga influenza sironiana – lavorava preferibilmente en plein air, studiando momenti e cogliendo tensioni delle periferie milanesi, resta ammirato ma non sorpreso, forse stupito ma non perplesso, nell’osservare, sintetizzato in questa mostra, il suo percorso, appunto trentennale. Occoffer ha condotto, lungo tutto questo periodo che è quasi una vita, una solitaria ricerca personale: di forme, di colori, di emozioni, di lancinanti o di rasserenanti memorie. Una ricerca apparentemente (o dichiaratamente) volta a conoscere in modi sempre nuovi e diversi la materia pittorica e il suo farsi sembiante; in realtà, una ricerca che costituisce un’articolata testimonianza del tempo trascorso – con il corredo di eventi, sensazioni, mutamenti di gusto e di visione – e soprattutto, un continuo, aperto dialogo con l’immaginario osservatorio ideale: un altro e non diverso da sé. La costanza della ricerca è anche una costanza della ragione: che non significa fredda lucidità o distaccata formulazione, ma – nel caso di Occoffer – anche una non contraddittoria costanza della fantasia, della sensibilità, magari dell’ossessione.
Il protagonista, sia pure schivo e tormentato, è lui: le opere sono altrettanti segnali per comprendere le tappe di un’esistenza non dissimile da quella di tanti altri di noi (“confessiamo di aver vissuto” potrebbe essere il nostro nerudiano motto), solo che lui è riuscito a fissarle e a concentrarle, ogni volta che ne sentiva l’esigenza, in un 50 x 70, o giù di lì.
Lorenzo Pellizzari
OPERE ESPOSTE