Personali

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Personale – 1995 – Milano

Galleria La Nuova Sfera
Via San Marco 16, Milano
21 Novembre 1995

GIORGIO OCCOFFER

Nell’armonia di un CAOS dove i frammenti vaganti tentano una ricomposizione logica, l’uomo è presente in attesa che tutto torni entro i codici di una forma dove si deve tornare a vivere. La tematica delle ultime opere di Giorgio Occoffer verte su questa lotta esistenziale e il pittore, lasciandomi libero di interpretare i suoi quadri, non so se condividerà la mia presunzione.
Ma che possono significare quegli “oggetti vaganti” che invadono cieli impossibili: frammenti di mondi?
Non so quanta serenità vi sia nella creatività del pittore, certo attraverso le sue opere si respira la speranza.
Infatti, ombra diafana nel turbinio delle cose, la figura dell’uomo è una presenza che recupera una valenza positiva al messaggio dell’artista.
E dopo aver cercato di interpretare lan tematica, bisognerebbe parlare di pittura, cioè di forma, di metodo, di calligrafia (come se fosse un manoscritto) poiché anche il modo di dipingere deriva dalla personalità del pittore, appunto come la grafia.
Giorgio Occoffer si offre al giudizio con una pittura ordinata, sicura, sempre con colori alti, e quello che più interessa è la potenza espressiva nel suo insieme che si evince in ogni opera. Questa è anche una maturità che si raggiunge con anni di lavoro.

Antonio Carbé

Personale – 1991 – Milano

Galleria La Nuova Sfera
Via San Marco 16, Milano
12 Novembre 1991

http://www.occoffer.com/portfolio/personale-1991/

GIORGIO OCCOFFER

Sarà perché Giorgio Occoffer l’ho meglio conosciuto per sale cinematografiche che per gallerie (che egli frequentava, più assiduamente di me, insieme al comune amico Paolo Naselli, un pittore che ci ha lasciato troppo presto), io lo assimilo, lo coniugo, lo vedo… al cinema.

E i suoi quadri, maturati nel corso di una ricerca ultratrentennale – mossa da influenze sironiane ma ben presto allontanatasi dalle “riprese in esterno” -, mi sembrano sempre singolari fotogrammi.
Vi si riflettono tensioni ideali e sottili angosce, vi si leggono momenti di disperazione e pause di serenità, vi si alternano astrazioni e concretezze legate dall’amore per la materia e per il colore, vi si colgono eco di un post-antico dai richiami più vari (un po’ di espressionismo, un po’ di cubismo, un po’ di costruttivismo…), amalgamati o rimossi da una visione personale, da una interpretazione sempre e giustamente “insoddisfatta”, da una modulazione irrequieta. Quindi, sono pittura, dentro e fuori dei canoni e delle regole.

Eppure il richiamo al cinema continua a suggestionarmi.

Ho sbagliato dicendo “fotogrammi”, dovrei dire sintesi ottiche e cinetiche.
Dovrei parlare di un obiettivo dalle lenti deformanti o sfaccettate al punto giusto per consentire effetti di accumulo, rifrazioni irreali della realtà. Dovrei riferirmi ad angolazioni forti, prese dall’alto e dal basso, di sbieco e di sguincio, dove il soggetto si esalta e si comprime, rende sempre conto di un alto-da-sé.

Dovrei parlare di piani-sequenze, non solo perché l’andamento è spesso regolare o ciclico, ma anche perché il quadro racchiude un percorso, la possibilità di leggervi una storia; o addirittura non chiude, e smargina, e prosegue idealmente oltre i limiti di quel piccolo schermo di tela che è pur sempre un dipinto.

Poi potrei aggiungere che il quadro muta di intensità e di valore a seconda di come si dispone lo spettatore, l’osservatore; del “posto” (anche in senso metaforico) che egli assume prima di esercitare la facoltà dello sguardo.

Ancora dovrei dire che qualche volta pare che il fermo-immagine consenta di cogliere nella sua aleatoria fisicità una dissolvenza incrociata: fra un prima e un poi, fra un essere e un voler essere, fra qualcosa che sfugge e qualcosa che imperiosamente prende ad affermarsi (il termine è volutamente ambiguo).

E, infine, non c’è cinema post-antico o, se vogliamo, post-classico che non faccia il suo bravo ricorso agli effetti, ai fumoni, alle luci spioventi, a quel tanto che gioca per rendere la visione (riprodotta) simulacro di visione: ebbene, Occoffer – perché negarlo? – non si sottrae a questa lucidità dell’espressione.
Ho toccato il fondo. So benissimo che la ricerca del pittore, di questo pittore, va oltre il mio tentativo di illustrarla, che bisogna scavare oltre le apparenze, che i segni vanno oltre le cose.
Ma da un critico cinematografico prestato a un’arte che viene prima della settima non potete aspettarvi di più.

Lorenzo Pellizzari

Personale – 1989 – Milano

Biblioteca rionale di Niguarda
Via Passerini 5, Milano
11/25 Febbraio 1989

http://www.occoffer.com/portfolio/personale-1989/

GIORGIO OCCOFFER

Chi ha conosciuto e seguito il Giorgio Occoffer di trent’anni fa, quando – giovanissimo pittore di vaga influenza sironiana – lavorava preferibilmente en plein air, studiando momenti e cogliendo tensioni delle periferie milanesi, resta ammirato ma non sorpreso, forse stupito ma non perplesso, nell’osservare, sintetizzato in questa mostra, il suo percorso, appunto trentennale. Occoffer ha condotto, lungo tutto questo periodo che è quasi una vita, una solitaria ricerca personale: di forme, di colori, di emozioni, di lancinanti o di rasserenanti memorie. Una ricerca apparentemente (o dichiaratamente) volta a conoscere in modi sempre nuovi e diversi la materia pittorica e il suo farsi sembiante; in realtà, una ricerca che costituisce un’articolata testimonianza del tempo trascorso – con il corredo di eventi, sensazioni, mutamenti di gusto e di visione – e soprattutto, un continuo, aperto dialogo con l’immaginario osservatorio ideale: un altro e non diverso da sé. La costanza della ricerca è anche una costanza della ragione: che non significa fredda lucidità o distaccata formulazione, ma – nel caso di Occoffer – anche una non contraddittoria costanza della fantasia, della sensibilità, magari dell’ossessione.
Il protagonista, sia pure schivo e tormentato, è lui: le opere sono altrettanti segnali per comprendere le tappe di un’esistenza non dissimile da quella di tanti altri di noi (“confessiamo di aver vissuto” potrebbe essere il nostro nerudiano motto), solo che lui è riuscito a fissarle e a concentrarle, ogni volta che ne sentiva l’esigenza, in un 50 x 70, o giù di lì.

Lorenzo Pellizzari